“Parla con il tuo pubblico usando la sua lingua e raccontando ciò che gli sta a cuore.”
Jonathan Lister
Se c’è un modo semplice e preciso per definire il brandend content marketing è proprio la citazione di Lister, noto marketer canadese. Infatti, quando parliamo di bradend content marketing stiamo definendo esattamente quello che è il campo d’azione della comunicazione d’impresa declinata al digitale.
Occuparsi di contenuti per i brand vuol dire esattamente questo. In un’epoca in cui la comunicazione è ritenuta “olistica”, che utilizza cioè diversi strumenti a disposizione spesso integrando media diversi, occuparsi di brandend content marketing vuol dire dare una personalità ai contenuti, una personalità che si identifica con i marchi raccontati.
Raccontare un marchio vuol dire proprio conferirgli una individualità, posizionarlo nel mercato di riferimento attraverso:
- Definizione del target/pubblico/audience
- Progetti personalizzati
- Utilizzo mirato dei media
- Storytelling
Questi sono sicuramente gli aspetti più importanti relativi al brandend Content Marketing che si distingue dal content marketing proprio per il processo di identificazione costruire con il brand di riferimento.
Oggi il mantra sul web è coinvolgere gli utenti attraverso contenuti interessanti e una certa dose di sentimento e di emozioni. Proprio per questo motivo i grandi marchi (con i piccoli che provano a seguirli a ruota) già da tempo hanno capito che la chiave per arrivare al portafoglio degli utenti passa dal brandend content marketing.
I pubblicitari di una volta, soprattutto i migliori come Armando Testa, Saatchi & Saatchi, Ogilvy & Mather e così via, l’avevano capito perfettamente tanti anni fa. Per arrivare a convincere il consumatore ad acquistare un prodotto bisognava colpire al cuore e al cervello. Poi sono arrivate le emozioni sulle quali si è buttata a capofitto anche l’intelligenza artificiale, ad esempio con gli esperimenti con Oculus Rift, realtà virtuale in alcuni casi già sperimentata da alcuni marchi.
L’obiettivo? Quello di coinvolgere sempre più nel profondo l’utente e di traghettarlo in un’esperienza a 360°. A questo proposito la realtà virtuale è stata già sperimentata con successo nel brand storytelling, parente stresso del brandend content marketing. Un esempio è l’acquisto nel 2016 di oculus rift dal liceo Majorana di Brindisi, primo in Italia per esperimenti di immersione totale in una realtà coinvolgente ed emozionante.
Fonte: mbryonic.com
Ma non solo. Tra gli altri esempi di brandend storytelling e realtà virtuale troviamo la Coca Cola, Mc Donald, Michelle Obama, Volvo e tanti altri che hanno capite le enormi potenzialità di questo strumento.
Perché il brandend Content Marketing è uno strumento così rivoluzionario?
Perché in prima istanza trasforma l’azienda in produttrice di contenuti, attraverso la figura del Brand manager che può coordinare diverse figure, tra cui un bravo copywriter in grado di raccontare l’immagine e la proposta di valore dell’azienda attraverso strumenti quali video, copy persuasivi, info grafiche.
Il funzionamento è semplice: si analizzano target e tutti i segmenti di target in linea con ciò che l’azienda propone e si fa in modo da allineare i valori dell’azienda al target.
In questo modo i rapporti tra agenzie di comunicazione ed aziende cambiano notevolmente. Il risparmio in pubblicità classica è evidente, poiché queste nuove figure professionali si muovono a cavallo tra social network, blog, strategie di video virali ed altre strategie di engagement e di content curation che prima di oggi non erano ancora annoverate tra gli strumenti principali per posizionare un brand.
Le aziende che non hanno fatto questo passaggio e che non hanno investito nel brandend content marketing hanno avuto diversi contraccolpi a livello di immagine, vedi Italo con i suo celebri epic fail, ma non solo.
Attraverso il branded content marketing si veicolano contenuti divertenti e coinvolgenti e si tagliano drasticamente i costi degli spot pubblicitari.
Basta pensare ad esempio, all’accordo fatto tra American Express e Buzzfeed, il portale che ha utilizzato tantissimo i gattini e i video virali per diventare famoso, attirando l’attenzione di miliardi di persone. L’accordo tra i due prevede infatti proprio che gli spot siano sostituiti dal brandend content. Una scure sulla pubblicità televisiva tradizionale, ma anche sugli spot che girano sul web. Diverse ricerche infatti dimostrano con la maggior parte degli utenti trovino fastidiosi gli spot, saltandoli e chiudendoli anche prima che comincino.
Gli spot sono spesso intrusivi e ostacolano la fluidità della navigazione e della fruizione dei contenuti, mentre il brand content con le sue storie e i suoi video virali riesce ad attirare l’attenzione degli utenti coinvolgendoli e spingendoli alle conversioni in maniera molto più performante.
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