Prevenzione di crisi aziendale: la legislazione

Cosa dice la legislazione in termini di prevenzione di crisi aziendale

 

La legislazione negli ultimi anni si è espressa anche in termini di prevenzione di crisi aziendale riformando un nuovo codice, definito Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, e inserendo significative novità come l’introduzione delle procedure di allerta e la composizione assistita della crisi. 

 

Il codice per la Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) già esisteva e già la legislatura si era espressa al riguardo prima di tutto distinguendo la crisi d’impresa dalla crisi per insolvenza (definendo la crisi d’impresa come quello stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che, per le imprese, si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate) e poi anche ad esempio definendo i 4 stadi dell’evoluzione di una crisi d’impresa. Negli ultimi anni però abbiamo assistito ad una progressiva riforma del Codice e con tale riforma sono state introdotte, come dicevamo, delle significative novità. La prima è sicuramente l’esistenza di specifici istituti di allerta e prevenzione definendoli come quel complesso di metodologie dirette ad integrare le competenze dell’imprenditore e del management d’impresa attraverso un’adeguata vigilanza sui segnali di pericolo per il complesso aziendale – il tutto nella prospettiva di un’anticipata prevenzione d’insolvenza. Questa però non è la sola novità introdotta nel Codice, ce ne sono di altre.

Le novità del CCII: I sistemi di allerta

La novità più rilevante dell’ultima riforma sono i cosiddetti “sistemi di allerta”, ovvero strumenti che, secondo la legislazione, devono consentire ed agevolare un’emersione precoce della crisi – il tutto nel presupposto che le probabilità di salvaguardare gli asset di un’impresa in difficoltà siano direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore evitando il più possibile la fisiologica dispersione di valore spesso insita nelle procedure meramente liquidatorie – (concetto, questo, sostenuto anche dalla dottrina aziendalistica secondo cui ogni tentativo di fronteggiare la crisi presenta esiti favorevoli proporzionali alla sua tempestiva emersione). 

Con l’introduzione di questi sistemi, la legislazione ha voluto aggiungere un ulteriore fondamento alla disciplina di prevenzione dell’insolvenza facendola  quindi basare su due elementi:

  • l’obbligo di adeguati assetti organizzativi
  • l’introduzione di sistemi di allerta 

Questi sistemi di allerta fanno sì che la crisi sia riconosciuta ai primi sintomi, e lo fanno sulla base di segnali (definiti “segnali di crisi”) sia qualitativi che quantitativi, sufficientemente univoci ed oggettivi ed idonei a ridurre i margini di discrezionalità circa il ricorrere dei presupposti giustificativi di un intervento di ristrutturazione aziendale. Inoltre, nell’introdurre tali sistemi, la legislatura non ha mancato di indicare l primo stadio dell’evoluzione della crisi aziendale (la cosiddetta “fase embrionale”) come quello in cui dove è necessario andare ad intercettare i segnali di crisi sopra citati. 

Ovviamente per mettere in atto i sistemi di allerta c’è bisogno di precisi “strumenti di allerta” che la legislatura ha definito come gli obblighi di segnalazione posti a carico di specifici soggetti e finalizzati alla tempestiva emersione degli indizi della crisi e quindi ad una rapida adozione delle contromisure più adeguate alla sua composizione (chiamati anche early warning definiti come quel complesso di strumenti che possono segnalare l’avvio di un peggioramento delle performance d’impresa e segnalare all’imprenditore la necessità di attivarsi con urgenza).

Altre novità: gli indicatori di crisi

La legislatura, con l’obiettivo di fornire criteri quanto più oggettivi possibile, ha individuato due indicatori di crisi aziendale di fronte a cui il management è tenuto a prendere opportuni ed immediati provvedimenti. Questi due indicatori sono i seguenti:

  • 1. squilibri di carattere reddituale patrimoniale e finanziario individuabili attraverso specifici indici (devono avere determinate caratteristiche, ovvero:
    • devono essere basati su grandezze prospettiche e non ricavabili esclusivamente dalle rilevazioni contabili
    • devono essere idonei a segnalare sostenibilità del debito per almeno 6 mesi e prospettive di continuità aziendale 
    • le valutazioni devono essere riferite alle specifiche caratteristiche dell’impresa e all’attività effettivamente svolta)
  • 2. reiterati e significativi ritardi nei pagamenti delle obbligazioni aziendali, ovvero nello specifico:
    • debiti per salari e stipendi scaduti da almeno 60 giorni per un ammontare superiore alla metà del monte salari complessivo 
    • debiti verso fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti 

Per quanto riguarda il primo degli indicatori vi è una particolarità da tenere presente: la legislatura afferma che l’esistenza degli squilibri deve essere verificata attraverso 2 indici ma evita di codificarli puntualmente (si limita solo a dire che questi due indici devono essere in grado di misurare sia la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare che l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi) in quanto l’idoneità a far emergere gli indizi della crisi non è limitata a indicatori individuati dalla legge ma può anche essere ricondotta a un set organico di indici di allerta che siano in grado di valutare sia la capacità dei flussi di cassa aziendali a sostenere gli oneri di indebitamento, sia l’equilibrio tra i mezzi propri e quelli di terzi.

Gli indicatori rappresentano ovviamente una soglia superata la quale il management dovrebbe avere dei dubbi sulla sostenibilità degli oneri di indebitamento ma stabilire tale soglia spetta solo al CNDCEC (Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti Esperti Contabili) che per legge deve elaborare gli indici di allerta con cadenza almeno triennale per ciascuna tipologia di attività economica secondo le classificazioni ISTAT. Gli stessi vengono ulteriormente sottoposti anche all’approvazione del Ministero dello Sviluppo Economico. 

Un altro aspetto importante da notare è che gli indicatori stabiliti dal CNDCEC possono essere sostituiti con indici di allerta alternativi, ma solo nel caso in cui i primi risultassero incoerenti e non adeguati a far emergere tempestivamente l’eventuale stato di crisi. La validità degli indici deve essere attestata da un professionista indipendente e la loro sostituzione deve essere motivata nella nota integrativa al bilancio d’esercizio, per evitare un utilizzo distorto della facoltà di non applicare gli indici standard. Sempre per questo motivo gli organi di controllo societari hanno l’obbligo di:

  • verifica che l’organo amministrativo valuti costantemente se l’assetto organizzativo aziendale è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico-finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione (assumendo poi le conseguenti idonee iniziative)
  • segnalazione immediata allo stesso organo amministrativo dell’eventuale esistenza di fondati indizi della crisi.

 

Questo significa che oltre a valutare il rispetto dei criteri di adeguatezza e di equilibrio, l’organo di controllo deve anche stimolare gli amministratori affinché questi valutino e monitorino periodicamente quegli aspetti che il legislatore ha ritenuto fondamentali per la prevenzione delle crisi d’impresa. Nel codice si trovano ovviamente anche tempistiche e modalità attraverso cui l’organo di controllo deve stimolare quello amministrativo: comunicazione scritta e motivata con invito e riferire in merito alle soluzioni individuate dall’organo amministrativo entro un termine non superiore ai 30 giorni (se superano questi allora gli amministratori devono dare tempestiva segnalazione all’organismo di composizione della crisi d’impresa – OCRI -).

 

Questi indicatori di crisi contribuiscono a sottolineare che le crisi aziendali richiedono interventi coerenti in tutte le aree aziendali. Per affrontare al meglio una crisi aziendale, infatti, è necessario non solo monitorare questi indici regolarmente, ma è anche opportuno redigere per tempo di un Piano di Risanamento aziendale, così da cercare le motivazioni che hanno generato lo stato di crisi in essere e da elaborare uno specifico programma per il recupero della redditività aziendale. L’elaborazione per tempo di un adeguato Piano di Risanamento aziendale, infatti, unita al monitoraggio degli indici e alla realizzazione e messa in opera di pratiche di esercitazione e simulazione di un’eventuale crisi, consente di prepararsi (e preparare anche i propri dipendenti) alla corretta gestione di una tale eventualità. 

 

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