Negli ultimi decenni, gli approcci manageriali e le teorie dell’organizzazione aziendale sono state protagoniste di importanti mutamenti dipendenti dall’evolversi delle esigenze delle imprese, chiamate ad adattarsi ad un ambiente sempre più globale, volatile e spietato in tutte le sue manifestazioni. Abbiamo assistito al passaggio dal concetto di management come disciplina strettamente ancorata all’economia d’azienda (ovvero ai bilanci, ai rendiconti, ai flussi di cassa, ai piani d’azione, alle strategie), al management come disciplina molto più vasta, complessa e soprattutto capace di bilanciare le variabili hard con quelle soft, ovvero quelle legate al fattore umano nelle organizzazioni: intuito, conoscenza, apprendimento, comunicazione, fiducia, manifestando un interesse più intenso verso le scienze umanistiche.
Fino agli anni ‘70, il modo di lavorare in azienda, lo stile di gestione ed i modelli organizzativi erano basati sui principi dello scientific management della logica fordista, ovvero la specializzazione funzionale, la rigidità della struttura gerarchica, la pianificazione di lungo periodo, la centralizzazione del controllo e dell’informazione, e la stabilità del posto di lavoro.
Anche la carriera del manager si adattava a questi schemi: il manager era abbastanza “fedele” e buona parte della sua carriera la realizzava all’interno di una sola azienda o attraverso pochi cambiamenti. In altre parole, il management rappresentava una delle “attività” del patrimonio aziendale.
Nei decenni successivi, gli scenari diventano più turbolenti ed i rapporti di forza cambiano radicalmente: c’è una minore “pianificabilità”, assistiamo al dominio di nuove strutture organizzative, è più forte il senso di scopo e missione, viene meno il concetto d’azienda come seconda casa/famiglia capace di garantire stabilità e certezze di lungo periodo, così come viene meno il processo di identificazione in essa, nel ruolo e nella posizione, tipici di qualche anno fa.
Si afferma un nuovo modo di vivere la managerialità: il manager prende consapevolezza che la mobilità, in termini di esperienza e crescita professionale, gli crea valore aggiunto e che «Ogni manager deve essere oggi imprenditore e professionista, non è più possibile pensare a un dirigente che non abbia una dimensione predominante di tipo imprenditoriale e consulenziale ».
Sulla base di questi presupposti, ha cominciato a delinearsi un nuovo trend manageriale: il temporary management.
La gestione aziendale diventa “a tempo” e nasce la figura del manager “temporaneo”: le aziende imparano ad avvalersi dell’opportunità di utilizzare un nuovo strumento di gestione (la gestione temporanea d’impresa) che consente loro, in determinate circostanze, di soddisfare sia la necessità di competenze di alto livello (non sempre rinvenibili sul mercato del lavoro o all’interno della propria organizzazione); sia la necessità di non appesantire la struttura dei costi fissi di lungo periodo (che l’impresa sarebbe costretta a subire nell’ipotesi di assunzione a tempo indeterminato) per mantenere la snellezza e la flessibilità necessaria a fronteggiare gli scenari turbolenti degli anni più recenti.
Il temporary management come funzione di gestione provvisoria di impresa
Il temporary management è una pratica gestionale e di business, che consiste nell’affidamento temporaneo della gestione dell’impresa, di una sua parte o di un progetto, a manager altamente qualificati e motivati, al fine di acquisire, per un tempo definito, le competenze necessarie per rispondere ad una particolare necessità, senza necessariamente farsi carico di costi fissi o di dover modificare stabilmente i propri assetti organizzativi.
Si tratta, dunque, di un servizio che aiuta le aziende ad affrontare processi di cambiamento a livello globale o a livello interfunzionale o di funzione, mediante l’inserimento temporaneo di professionisti esterni qualificati. Quando si parla di “gestione temporanea d’impresa”, si fa riferimento al fatto che il manager esterno assume, all’interno dell’azienda, responsabilità gestionali: prende decisioni e gestisce le risorse umane e finanziarie al fine di raggiungere un obiettivo prestabilito entro una scadenza nota ed a costi preventivati. In pratica, non è altro che una forma diversa dell’attività di management: il contratto che lega il professionista all’azienda descrive il progetto definendo gli obiettivi da raggiungere, le risorse necessarie, le deleghe operative, il compenso e la tempistica; al termine del progetto il rapporto tra il professionista e l’azienda cessa automaticamente e senza alcun costo aggiuntivo.
Nel nostro Paese, il temporary management è un servizio relativamente recente e poiché se ne ha ancora una conoscenza parziale, è facile incorrere in diversi luoghi comuni e falsi miti che possono rappresentare un fattore di ritardo e di rallentamento della crescita del mercato.9 Può essere utile, pertanto, confrontare il temporary management con due tra i più diffusi strumenti di flessibilità, definendone in modo più accurato i contenuti.
La gestione temporanea d’impresa e la consulenza marketing sono servizi di cui generalmente usufruiscono le imprese qualora ritengano di non essere in grado di ottenere autonomamente i risultati desiderati. Questo elemento comune ad entrambe le tipologie di intervento ha contribuito a radicare un diffuso luogo comune ovvero che il temporary management sia una soluzione alternativa alla consulenza; ciò anche rafforzato dal fatto che spesso un intervento di temporary management richiede alcune competenze di tipo consulenziale (specie in tema di analisi e di problem solving) ed anche per via della temporaneità che caratterizza entrambe le tipologie di rapporto. In realtà, consulenza e temporary management non sono da considerarsi alternativi ma, nell’ottica dell’impresa che ne usufruisce, sono due servizi di management complementari che seguono approcci diversi e che richiedono attitudini, competenze e motivazioni differenti da parte dei professionisti coinvolti.
In particolare, la consulenza è un servizio offerto da apposite società (società di consulenza, appunto) che mettono a disposizione delle imprese la prestazione professionale di un “consulente” ovvero di un professionista che si occuperà di consigliare decisioni, suggerire modelli di business e agevolare l’implementazione di quanto proposto senza entrare a far parte dell’organico dell’azienda e senza ricevere deleghe operative.
Un intervento di temporary management, invece, non prevede soltanto un check-up e delle proposte, ma prevede l’inserimento di una figura professionale (il temporary manager) che per il tempo concordato a realizzare il progetto, entra a far parte dell’organico dell’azienda ricevendo specifiche deleghe operative: prende decisioni, le implementa, le gestisce.
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